xxv aprile 2024

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antonio scurati

Testo dell'intervento dello scrittore Antonio Scurati nel programma RAI "Che sarà" mai mandato in onda 

 

“Lo attesero sottocasa in cinque, tutti squadristi venuti da Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente con una lima da fabbro. [...]

continua

[...]

Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.


In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani, nel 1944.


Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati.


Queste due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 – proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli eredi di quella storia?


Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via.


Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023).


Mentre vi parlo, siamo di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare la casa della democrazia italiana”

anpi-scurati

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premierato: le cose da sapere

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Vizzola 21.03.2021

Il 21 marzo 1945 a Vizzola vennero fucilati tre giovani partigiani: Ras di 28 anni, Andrei e Milan di 16 anni.

Questa mattina a Vizzola di Fornovo di Taro si è svolta la commemorazione dell’eccidio da parte dell’Amministrazione Comunale in collaborazione con ANPI Fornovo di Taro, ANPI Collecchio e IC Malerba, con il DS Giacomo Vescovini, e in particolare le classi della Primaria di Riccò che come ogni anno ha preparato un percorso di canti, grazie al Maestro Zarba, e letture.



Commemorazione ufficiale

Sig.ra Carmen Motta

Presidente Istituto Storico della Resistenza e della Età Contemporanea Parma

prima parte del testo. [...]

Tre i giovani partigiani che il primo giorno di primavera, il 21 marzo del 1945, furono fucilati davanti al cimitero di Vizzola, proprio qui dove siamo noi oggi, e fatto scempio dei loro corpi. La più terribile azione di umiliazione che si possa compiere su corpi inermi.

Chi erano questi giovani?

Giuseppe Azzolini, nome di battaglia Andrei, 17 anni partigiano dal primo ottobre 1944 al giorno della sua esecuzione, nato a santa maria del piano, calzolaio come il padre.

Ferdinando Bremi , nome di battaglia Milan, 16 anni partigiano dal 27 ottobre 1944 al giorno della sua esecuzione,nato a santa maria del piano.

Andrea Bianchi, nome di battaglia Ras, 28 anni, partigiano dopo l’8 settembre 1943 fino al giorno della sua esecuzione, di Altopascio, paese in provincia di Lucca, sposato, padre di una bimba, Alberta, bracciante.

Di Bremi si sa che fu ospitato da una famiglia di Parma composta da una signora anziana, una giovane con un bimbo piccolo ma la figlia Alberta che non ha conosciuto suo padre, non è riuscita a scoprirne l’identità.

La loro storia riassunta brevemente.[...]

continua

[...]

Catturati durante un rastrellamento il 14 marzo 1945 a Castrignano di Langhirano dai bersaglieri della divisione ”Mameli” in una operazione antiguerriglia, vengono consegnati ai bersaglieri della divisione “Italia”, che ne pretendono la consegna, e trasportati a Sala Baganza nella sede della Guardia nazionale repubblicana cioè la milizia della Repubblica fascista di Salò. Il 21 marzo i famigliari li poterono incontrare fugacemente e furono rassicurati da chi li aveva in consegna che sarebbero stati rilasciati. Giuseppe, che aveva sul volto i segni della violenza subita dai militari, chiese alla sorella se anche lei fosse stata arrestata e, quasi a volerle consegnare il messaggio che nessuno doveva tradire, le confidò di non aver parlato. I famigliari furono vigliaccamente illusi sulla salvezza dei loro congiunti la cui sorte era già stata decisa perché subito dopo la loro partenza i giovani furono caricati su un camion, condotti a Riccò e poi a piedi, attraverso i campi, al cimitero di Vizzola dove furono trucidati. Ci furono abitanti del paese che da lontano assistettero alla tragedia. Vinta la paura si avvicinarono a quei poveri corpi straziati e ne raccolsero i resti per comporli all’interno della cappella del cimitero. Gesto coraggioso di pietà umana, perché a quei tempi anche la pietà poteva comportare un serio rischio personale. Lo stesso giorno i corpi di Giuseppe e Ferdinando furono trasportati al loro paese natale, la salma di Andrea restò nel cimitero di Vizzola. Finita la guerra furono celebrati due processi ma i responsabili dell’eccidio furono scagionati. Giustizia negata ai famigliari, nessun responsabile che pagò per il crimine commesso fra i comandi fascisti. Per inquadrare meglio questa storia : quale era la situazione militare di allora? Come erano dislocate le forze che si fronteggiavano prima della sconfitta degli eserciti nazifascisti? Mussolini, pur ormai consapevole che la sconfitta era inevitabile, venne nel gennaio 1945 a Ozzano Taro ad incontrare la divisione dei bersaglieri “Italia”, alleata ancora con i tedeschi, per rinforzare l’attività di antiguerriglia partigiana nel territorio tra le valli del Taro e del Ceno, dove la resistenza era più organizzata e numerosa, e quelli delle valli del Parma e dell’Enza, con l’obiettivo strategico di difendere la cosiddetta “linea gotica” che delimitava il confine dell’appennino tosco-emiliano, a sud del quale erano schierati gli alleati anglo-americani in attesa di poter avanzare e liberare il nord Italia unitamente alla resistenza partigiana. I nazifascisti sapevano che crollata quella linea del fronte tutto era perduto. Per questo l’inverno del ‘44/’45 fu il periodo degli eccidi di partigiani, renitenti alla leva, militari che avevano rifiutato di aderire alla repubblica fascista di Salò,e fu il periodo delle rappresaglie più dure anche nei confronti di inermi civili come risposta alle azioni partigiane . Rappresaglie, rastrellamenti, per impedire ai partigiani di assumere il controllo delle principali vie di comunicazione del parmense: passo della Cisa e linea ferroviaria Parma-La Spezia. 155 furono le persone uccise, partigiani, civili, militari, da fascisti e tedeschi. Questi i fatti che ci riportano al ricordo di oggi qui a Vizzola, ma perché lo rinnoviamo ogni anno? Per farne memoria viva e non dimenticare, perché più ci si allontana dagli avvenimenti più questi sembrano distanti dal presente, sfumati nei loro contorni, e soprattutto perché il tempo affievolisce il ricordo delle persone che di quei fatti furono i protagonisti. Ce lo insegna la storia che succede questo, e la storia se non è viva, se viene raccontata unicamente come passato, se non è nutrita di gesti concreti come la nostra presenza oggi, non potrà più aiutare a comprendere il passato unico modo per comprendere il presente e quale futuro vogliamo. Le brevi vite di Giuseppe, Ferdinando,Andrea parlano ancora a noi non come “miti” ma come “esempi” vivi di coraggio, coerenza, passione,lealtà, gratuità del loro straordinario impegno per gli ideali e i valori che volevano fossero di tutti e per tutti. E allora chiediamoci: noi al loro posto cosa avremmo fatto in quei terribili anni di guerra devastante , dopo 20 anni di dittatura del regime fascista e di fronte alla occupazione della Germania nazista del nostro paese? Loro hanno scelto da che parte stare a rischio della vita e dell’esistenza delle loro famiglie per restituire libertà, democrazia, diritti, dignità e pace all’Italia. Non si sono piegati all’indifferenza, hanno affrontato la paura, hanno posto il “noi” davanti all’”io”, hanno donato il bene più prezioso che avevano, la vita. Cosa avranno pensato negli ultimi istanti prima della morte di fronte al plotone di esecuzione di italiani come loro, due ragazzi di 16 e 17 anni e un giovane uomo padre di 28 anni? Accettare la morte è sempre difficilissimo ma ci vuole coraggio, molto coraggio affrontarla come loro sono stati costretti a subirla e ferocemente umiliati perfino dopo la morte. Noi cosa avremmo scelto se fossimo stati al loro posto? Ecco a cosa serve la storia, non solo a conoscere ma a interrogarci nel e sul nostro presente, a chiederci perché tutto questo è avvenuto? Perché queste vite così preziose, come ogni vita, sono state annientate da una furia umana così cieca e violenta? Una risposta c’è ed è sempre la storia che risponde: perché allora fascisti e nazisti, avevano una visione totalitaria, nazionalista, razzista, escludente, discriminatoria dell’umanità; vedevano solo “nemici” e non avversari, concetto molto diverso dal primo, delle loro ideologie, semplicemente da eliminare con qualunque mezzo. Questi convincimenti ideologici hanno generato e generano sempre male ovunque siano stati applicati. E chiediamoci anche oggi accade ancora? Purtroppo si, in tante parti del mondo, a noi non lontane, non in modo uguale al passato perché la storia non è mai uguale a se stessa ma sicuramente tende a ripetersi. Dobbiamo essere consapevoli, molto consapevoli, di questo e comprendere che la speranza del benessere pacifico di tutti, non è un principio astratto ma il frutto delle nostre azioni. La democrazia conquistata quasi 80 anni fa, a così caro prezzo è un bene prezioso ma fragile, da salvaguardare con molta attenzione così come i diritti individuali e collettivi possono non essere per sempre. La disumanizzazione che caratterizzo quei tempi è sempre un rischio in agguato, alto, che bisogna combattere democraticamente ma scongiurare perché rende ciechi, sordi, insensibili a tutto. Fra poco celebreremo la festa della Liberazione, il 25.aprile, in quella ricorrenza ci sono le fondamenta della nostra Costituzione, conosciamola davvero, facciamola nostra, è il faro che potrà sempre guidarci nel presente e ad immaginare, memori del passato, il nostro futuro. Sempre ad occhi aperti sul mondo con fiducia e immensamente grati a Giuseppe, Ferdinando, Andrea, che lo hanno fatto tanti anni fa per noi, per tutti. E con noi carissimi partigiani ci sarete sempre e per sempre, è un impegno solenne che insieme vi dobbiamo, lo dobbiamo a voi ai vostri cari all’Italia democratica.

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Comitato Provinciale

23 marzo 2024
relazione politica di Nicola Maestri
Presidente Comitato Provinciale ANPI

Da anni (oramai) leggo quasi quotidianamente i tanti commenti ai post che mi capita di condividere sui social e altri mezzi di comunicazione. Alcune presenze sono divenute per me un appuntamento fisso e il dialogo che si è generato si avvicina nello spirito a una comunità dove ci si ritrova. È quello che poi mi capita in maniera analoga quando incontro voi, compagne e compagni di ideali che nelle sezioni territoriali vi impegnate con passione e dedizione. Parto da questo concetto perché credo occorra prendere atto che anche questo è un canale di informazione importante, non l'unico ovviamente, non fraintendetemi, ma da non sottovalutare. Sono sempre meno purtroppo i luoghi fisici dove è importante e fondamentale confrontarsi e dibattere. [...]

continua

[...]

Per alcuni siamo considerati vetusti e nostalgici, ma il confronto e l'incontro sono veramente il sale della democrazia, che invece vogliono oggi giorno imporci

etichettando in modo sprezzante come superfluo se non peggio. In un mondo che inequivocabilmente vira verso orizzonti cupi noi di ANPI tenacemente intendiamo navigare in direzione ostinata e contraria, come direbbe il poeta.

Questa premessa per dire che sono colpito e allarmato dal clima che si va alimentando. Proviamo a fare mente locale e pensiamo a questo senso diffuso di intolleranza verso l’altro, a episodi che vanno oltre la distanza o il dissenso da una posizione che non si condivide.


Quanto pesa su tutto questo la guerra?

Cioè le due guerre che si consumano nel cuore d’Europa e in qu ella striscia di terra dove dopo trentamila morti (la metà bambini e minori) ancora migliaia di camion con beni di prima necessità restano bloccati al valico di Rafah?

Sono convinto che pesi tanto.


Le immagini e testimonianze di quelle tragedie e di un dolore senza sbocco (apparente) esasperano gli animi e ostruiscono i sentieri dell’ascolto. Rimbalzo come tutti da un reportage alle ricostruzioni storiche.

Se guardo all’Ucraina mi rendo conto che in due anni ho letto libri e analisi che per tutta una vita avevo largamente ignorato.

Ascolto voci che rimpallano le cause, e retrodatano le colpe. La guerra è iniziata dieci anni fa in Crimea e si è protratta nel Donbass.

Certo. È così.


Da lì un primo bivio, tra chi finisce col giustificare l’invasione russa (se non in forma esplicita marcando la complessità del processo storico) e chi, pure scorgendo quella medesima complessità, antepone il diritto sovrano a ogni altro pregresso.


A Gaza questo dualismo emerge con maggiore forza (e conseguente polemica). Se attacchi la strategia omicida di Netanyahu senza citare l’orrenda strage di Hamas del 7 ottobre rientri nel perimetro dell’antisemitismo (per lo meno inconsapevole). Se muovi da quel 7 ottobre c’è chi aggredisce la logica indicando nei trentamila morti e prima ancora nel mezzo milione di coloni e prima ancora nella mancata osservanza di tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite sullo Stato palestinese l’origine dell’escalation di odio e distruzione.


E il punto qual è? Che ciascuna di queste affermazioni risponde al vero.


Ma dietro parabole così strazianti (neonati che muoiono di stenti, donne stuprate, corpi devastati e rubricati come danni collaterali) non può non esserci il tentativo (almeno l’intenzione) di arginare il male e proporsi uno schema mentale diverso.

Altre epoche e protagonisti lo hanno fatto.
Un nome, Nelson Mandela, ma certamente non solo lui.

Oggi di fronte allo strazio sembra invece antistorico invocare due popoli per due Stati. Analisti acuti rimuovono quel traguardo come improponibile.

Altre voci, talvolta anche le più impensabili, declinano verso posizioni marginali o estreme e tutto concorre a comprimere speranze che in altri momenti si erano pure imposte. Un lento proseguire dove distinguere tra Israele e la sciagura di chi oggi lo governa o tra i terroristi di Hamas e il popolo palestinese si fa sempre più esercizio retorico quando dovrebbe essere l’alfabeto che non si arrende alla guerra.

Alle guerre.

Alcuni giorni fa a Roma la Cgil, l'ANPI e altre associazioni hanno promosso una grande manifestazione.

La volontà è una e semplice: far cessare le armi, fermare le bombe, soccorrere la gente stremata di Gaza, liberare gli ostaggi ancora prigionieri, e riaprire, allargare, lo spiraglio di una conferenza internazionale con una forza militare su quel campo di macerie in vista di una lenta ricostruzione.

Provare ancora, nonostante l’orrore di questi mesi (e anni) a non chiudere il libro della storia dovrebbe essere un dovere morale.

Ma se l’intolleranza s’impone quella speranza si annulla. E dopo rimane solo l’onda dell’odio a concimare cinismo e violenza.

Non può e non deve essere.

Mi sembra inoltre doveroso un passaggio sul premierato. Purtroppo se non interverranno fatti nuovi e significativi capaci di condizionare un sentimento prevalente nel paese noi questa volta corriamo il rischio serissimo di perdere il referendum.


Io penso che questa sia la ragione prima e fondamentale che deve spingerci a impostare la nostra opposizione alla proposta di premierato in una chiave che non ci schiacci sulla linea di un conservatorismo mai come adesso pericoloso perché poco efficace.

Quindi, sul piano del metodo, dico bene elaborare una serie di proposte capaci di delineare un progetto allo stesso tempo innovativo e alternativo alla riforma incostituzionale della destra.

Nello specifico la tesi di un presidenzialismo sgangherato nel quale saremmo già pienamente immersi e che trova nella vita dei partiti, in parte nel potere solitario di sindaci e governatori, ma soprattutto nel decisionismo di Palazzo Chigi con un abuso quotidiano di decreti e fiducie, la forma della sua espressione.

Non mi convince la lettura della loro proposta come una distrazione di massa dai fallimenti dell’azione di governo: Giorgia Meloni nel discorso della prima fiducia rivendicò quanto era scritto nel programma elettorale di Fratelli d’Italia (l’elezione diretta del presidente della Repubblica).


Continuo a credere che per loro questa riforma rappresenti il vero passaggio decisivo non solo di questa legislatura: accreditarsi come nuovi padri e madri di una costituzione rivista nel punto nodale della forma di governo e che archivia, questa volta definitivamente, la lunga stagione della discriminante antifascista.

Allora la domanda è quanto dobbiamo investire in termini polemici sullo scontro frontale rispetto a questo snodo?

Io penso che non possiamo ignorarlo perché è uno di quegli argomenti che se gestito con accortezza parla alla sensibilità di un pezzo importante del paese (non voglio dire un pezzo maggioritario, ma certamente un pezzo che nel momento del bisogno è disposto a uscire di casa e andare a votare contro una riforma che voglia aggredire alcuni dei pilastri costitutivi dello spirito costituente).

È chiaro che ci sono altri aspetti fondamentali a partire dal capitolo decisivo della legge elettorale (ogni sistema presidenziale che si accompagni al proporzionale alimenta una proliferazione dei partiti con la conseguenza di aumentare instabilità e conflitti, cioè esattamente l’opposto dei propositi annunciati).

Infine, a volo di uccello, una questione che riguarda la nostra Associazione.

In questi giorni, io, come immagino tanti di voi, ho appreso delle dimissioni di Roberto Cenati dalla carica di Presidente provinciale di ANPI Milano. Me ne guardo bene dal voler entrare in questioni che non conosco direttamente. Ma se ci definiamo un'associazione democratica, dobbiamo accettare e dibattere anche con chi ha sensibilità differenti, anche con chi ha posizioni minoritarie. Diversamente non potremo definirci un'associazione pluralista e democratica.

Guardate, so che sul termine “genocidio” ci sono diversi studi su quando sia opportuno definirli tali o meno. Questa definizione non esisteva prima del 1944. Si tratta di un termine molto specifico, che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli.

I Diritti Umani, così come stabilito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazione Unite del 1948, riguardano i diritti fondamentali degli individui.


Se vogliamo trarre una lezione da questa vicenda, qualora ce ne fosse ancora bisogno, è che è necessario perseguire con determinazione a partire dal linguaggio, dal modo di porsi, e nella quotidianità, l'utilizzo prezioso del breviario della tolleranza, dell'inclusione, della solidarietà.

Senza dimenticare mai che ANPI è la casa di tutti gli antifascisti, non un piccolo partito. Non una congrega di carbonari. Siamo Ente Morale, non mi stancherò mai di 
ripeterlo, siamo parte integrante delle Istituzioni e come tali dobbiamo comportarci. Senza seguire le onde emozionali del momento.

Le Partigiane e i Partigiani, attraverso lo Statuto scritto di loro pugno, ci hanno autorizzati a proseguire sul solco da loro tracciato, di questo facciamone tesoro in ogni momento del quotidiano e nelle nostre strategie politiche.


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